martedì 28 agosto 2012

Non c'è grandezza, dove non c'è semplicità.



Diceva Tolstoj.

Se c'è un merito che dobbiamo riconoscere ai mezzi di comunicazione e al proliferare di social network è quello di essere una finestra su usi, costumi et similia sulle persone. Su quello che fanno, quello che pensano o semplicemente come sono.

Wharol chiedeva "Non è forse la vita una serie di immagini?"
E noi  è alle immagini che ormai affidiamo il compito di parlare di noi, di mostrare una parte di ciò che siamo e viviamo.

L'immensa mole di foto che social come instagram o twitter, o il sempre verde facebook ci permettono di ammirare/osservare/criticare ogni giorno/ ogni minuto pongono sotto i nostri occhi (un pò voyeuristici ammettiamolo) una sfilza di immagini che ci danno almeno in parte l'idea di chi sia la persona che posta la foto in questione.  E se tutto ciò è vero, se è vero che ormai i social network sono uno specchio di ciò che siamo, dobbiamo ormai accettare l'idea che la semplicità è cosa morta e sepolta, a dispetto di quanto diceva lo scrittore russo. Trucchi esagerati da donna vissuta (o meglio ancora, dei vicoli), vestiti sempre più ridotti che lasciano ben poco spazio all'immaginazione e al potere della seduzione, quella vera. Visi rifatti di ragazze che hanno al massimo vent'anni.
Gesti volgari, pose che vorrebbero emulare e  far ricordare le modelle ma hanno risultati al limite tra il grottesco e il ridicolo. Merce in bella mostra, avvalendosi banalmente e tristemente di un "il corpo è mio e ci faccio ciò che mi pare".
E non si sorride. Vedo sempre meno sorrisi nelle foto, con un aumento invece di sguardi finto-distratti che fa sempre molto fescion.
Oppure foto di giovanotti con l'aria trasandata da finto duro/menefreghista/antimoda/antisociale/originale che poi indossano la camicia firmata, gli occhiali (ovviamente i rayban, manco a parlarne) firmati e fanno la foto col cellulare ultraintelligente ultra costoso. Perchè va bene essere originali e controtendenza, ma se poi non c'è nessuno a notare quanto siamo dannatamente fighi e ribelli, che senso avrebbe?
E' l'immagine a contare, quello che gli altri vedono. Quello che noi vediamo degli altri conta ormai.
E noi possiamo dare qualsiasi immagine vogliamo, quasi fossimo degli attori permanenti su un teatro permanente.

E non ci si limita alle foto.
Anche il modo di scrivere, di esporre i pensieri diventa sempre più articolato, pomposo ai limiti della fastidiosità.
Uno sciorinare di paroloni volti ad impressionare per l'immensa conoscenza e cultura che si vuole dimostrare di avere e di saper padroneggiare, elevandosi dalla massa ignorante, dalla plebaglia.
Io immensa letteraria costretta a vivere in questo mondo di pecoroni ignoranti.



La semplicità è morta anche nel modo di scrivere.
"Se non si capisce cosa dice è geniale" dice una canzone.

E' come se si fosse instaurata una lotta sterminatrice verso tutto quello che è semplice e genuino; come se ormai semplicità fosse sinonimo di banalità, di noia. Ed ecco che fuggiamo via il più velocemente possibile per dimostrare che non siamo banali o noiosi, senza notare che ci massifichiamo sempre più.

Forse bisognerebbe riscoprire la bellezza di un semplice e spontaneo sorriso, non svalutarlo o banalizzarlo.
La bellezza di un gesto elegante e posato.
Bisognerebbe farsi conquistare da parole semplici, un pò come quelle dei bambini, non ostinarsi a lodare parole ricercate ma incomprensibili.


Che poi alle fine, non le capisce nemmeno chi le scrive.



"La semplicità è la principale condizione della bellezza morale"







mercoledì 22 agosto 2012

Quando la trasgressione diventa conformismo.

Quand'è che una moda di per sè trasgressiva, comincia a diventare obsoleta fino quasi al conformismo più totale?
Mi riferisco all'ormai normale e generale abitudine moda di ricoprire parti o l'intera epidermide con disegni, scritte, simboli incomprensibili ai più: in altre e semplici parole, la moda del tatuaggio. Per quanto possa sembrare una tradizione moderna, le origini del tatuaggio vanno fatte risalire sino al 3300 a.C.; è inoltre documentato l'uso del tatuaggio presso la religione cristiana nel periodo precedente alla sua ufficializzazione, ossia quando i cristiani non potendo manifestare apertamente la propria religione, solevano tatuarsi simboli di riconoscimento. In Italia nel 1992 è stata rinvenuta una mummia ( la mummia di Oetzi) con segni tatuati sul corpo, il che fa presupporre che questa pratica fosse in uso perfino nella preistoria.
Il significato del tatuaggio e del tatuarsi può essere diverso, e cambia ovviamente in base alle epoche e ai luoghi dove questo avviene. E mentre nell'antica Roma il tatuaggio si applicava sugli schiavi per renderli tutti uguali e riconoscibili come appartenenti ad un determinato padrone, il ruolo e il compito che oggi assume è al contrario quello di distinguere, particolarizzare, rendere unico chi lo porta.
O almeno era questo fino a qualche tempo fa.
Il dilagare sempre maggiore di questa moda ha ormai fatto perdere quello che in epoca moderna era il "compito" del tatuaggio; che sia un tribale o un disegno con un significato preciso, ormai imperano ovunque: in Italia solamente sono  ben 3 milioni le persone che ne hanno almeno uno;di certo un numero abbastanza elevato per essere ormai considerato come un fenomeno capace di suscitare stupore e critiche, ossia di essere trasgressivo. Questa moda ha visto una grande diffusione nel 2001 grazie al fenomeno mediatico nato in America (e dove sennò?) e conosciuto con il nome di Suicide Girl: ragazze, non necessariamente modelle professioniste, ritratte in pose seminude e sopratutto con i corpi coperti in più punti da immagini indelebili.
Ma quando una moda si diffonde, per quanto sia infondo questo il suo compito (ossia quello di arrivare alla maggior parte delle persone), si auto-immette in un processo di autodistruzione: paradossalmente una moda, specie quelle trasgressive, per rimanere tale e rimanere in vita deve limitarsi a rimanere confinata in una nicchia, di essere inaccessibile ai più.
Il tatuaggio infatti sta ormai perdendo quella che era la sua particolarità, riducendosi sempre più ad un capriccio estetico spesso senza alcun significato preciso, confermato dal fatto che ormai la maggior parte delle persone usano tatuarsi immagini, fiocchetti e stelline su tutti, non ricollegate a nessun evento o ricordo, come invece accadeva non molto tempo fa. Ironicamente il tatuaggio sta compiendo una specie di giro di boa: cosi come nell'antica Roma aveva la funzione di segno riconoscimento sugli schiavi, massificandoli ed eliminando ogni loro individualità e sopratutto eliminando il loro essere persone (ricordo che era proprio tramite un tatuaggio che i nazisti eliminavano simbolicamente l'individualità dei prigionieri nei campi di concentramento), sta a poco a poco tornando ad avere la stessa funzione, accrescendo sempre di più quel folto gruppo di persone che si considerano forse e ormai a torto trasgressive e particolari.
A mio parere, la particolarità e la trasgressione del tatuaggio non esiste più, cosi come non sono più considerate trasgressive le persone che si tatuano. Dalla trasgressione alla normalità, quasi al conformismo.
E infondo quasi rassicurante, proprio per quel mix di violazione delle norme non scritte ma eticamente condivise e quel conformismo che ha ormai reso blanda e tranquilla questa moda.



domenica 12 agosto 2012

Hard Rock Records

Avete presente l'Hard Rock Cafè? Quello delle magliette bianche che, parere personale, in quanto a bruttezza fanno concorrenza alle borse da shopper con su il nome della città in cui ci si trova?
Il colosso della ristorazione vanta ben 145 Cafè in tutto il mondo e 12 hotel, oltre a casinò ed arene per concerti;sei anni fa ha dato vita ad uno dei più importanti festival rock del mondo, che si tiene ogni anno nella londinese Hyde Park e che in quest'edizione ha regalato un memorabile incontro live tra Paul McCartney e Bruce Springsteen; adesso è giunta la notizia che sta per imbarcarsi in una nuova avventura: sta per arrivare l'etichetta discografica del ristorante, chiamato, udite udite, "Hard Rock Records". Un'operazione forse commercialmente rischiosa, vista l'attuale sfavorevole congiuntura in cui si trova il mercato discografico, sempre più surclassato dalla discografia online. Ma i tre ideatori dell'operazione, John Galloway, Blake Smith e James Buell si dichiarano fiduciosi ed infatti hanno già firmato il loro primo contratto con Rosco Bandanda, già esibitosi al festival sopracitato e di cui qui potete vedere un'esecuzione live del 2011: http://www.youtube.com/watch?v=wF8wQ96SYJw.

Ma dove sta la novità principale di quest'etichetta che dovrebbe ufficialmente essere inaugurata a settembre?
Semplicemente che i tre fondatori non vogliono fare soldi. E' tutto basato sulla logica del "no-profit": per anni il progetto discografico è stato rimandato proprio quando si arrivava davanti alla questione dei soldi, su come ottenerli; alla fine, in maniera semplice ed anche un pò naif, si è giunti alla soluzione del dilemma decidendo appunto di non fare soldi. Un'operazione filantropica. Apparentemente.
Si perchè la casa discografica metterà sotto contratto 4 band ( o cantanti) l'anno,sostenendoli per un intero anno con le normali operazioni del settore: incisione dell'album, video, tour, promozione. E nel frattempo, si cerca un'altra casa discografica (magari un pezzo grosso) che sia disposta a mettere sotto vero contratto il gruppo o il cantante in questione, che comunque potrà tenere ogni centesimo guadagnato con l'Hard Rock Records. E loro come guadagnano? Nella maniera più furba e redditizia che possa esistere: pubblicità.
Tutta un'immensa, gigantesca operazione di marketing giocata sul talento (altrui) per rilanciare (anche se effettivamente non ce n'è bisogno) l'immagine e la streets credibility del marchio. E questo, si sa, frutta molti soldi.

Marchio che ormai non ha più bisogno di presentazioni, visto che i ristoranti di tutto il mondo sono ormai luoghi di culto e il merchandising va dalle spillette ai canali a rotazione musicale no-stop. Infondo, c'è da dire per i pochi che non lo sapessero, che i ristoranti  Hard Rock oltre a prezzi abbordabili per il mangiare, offrono la possibilità di ammirare "cimeli storici" come le chitarre di Jimi Hendrix e gli abiti indossati dai Beatles. Oggi tutto ha un aria più industrializzata e meno da club per appassionati del genere: e cosi non potrebbe essere altrimenti, visto l'immensa collezione appartenente al colosso che si dice si aggiri intorno ai 30 milioni di dollari e che iniziò quando Eric Clapton chiese di appendere la sua chitarra sul muro dietro il suo tavolo preferito, per indicare a tutti che quello era il suo posto. Da li in poi, fu un susseguirsi di cimeli, alcuni ancora conservati, altri battuti all'asta.


Insomma, fin'ora il marchio londinese è stato una miniera d'oro.
Resta da vedere se la casa discografica seguirà l'aureo destino di ristoranti, alberghi e club.






domenica 5 agosto 2012

Bye bye Baby.

Il 5 agosto di 50 anni fa si spegneva a soli 32 anni la donna sex-simbol per eccellenza, "titolo" affibbiatole dall'immortale Marlene Dietrich, Marilyn Monroe. Nata Norma Jeane Baker, vive un'infanzia che meriterebbe un posto d'onore tra i racconti Dickensiani: padre ignoto, madre schizofrenica ed incapace di prendersi cura di lei ed una serie continua di affidi e adozioni, che si portano dietro storie di violenze ed abusi sessuali. La sua carriera inizia nel 1945 quando il fotografo David Conover le propone di lavorare come modella per alcune fotografie che sarebbero servite a "tenere alto" il morale delle truppe americane impegnate nella seconda guerra mondiale in Europa; a poco a poco le sue foto fanno il giro del mondo, e lei viene  messa sotto contratto da una delle più grandi agenzie pubblicitarie del mondo: le schiariscono i capelli, le insegnano a sorridere e ad usare il giusto tono di voce. Il mito Marilyn comincia ad affacciarsi sul mondo di Hollywood. Il nome che poi l'avrebbe consacrata nell'immaginario collettivo, e che sarebbe diventato praticamente un marchio, fu scelto dalla diva insieme al regista Ben Lyon: inizialmente la scelta era caduta su Carole Lind, in onore dell'attrice Carole Lombard e della soprano svedese Jenny Lind, ma fu l'unione tra il nome dell'attrice Marilyn Miller e del cognome Monroe della nonna materna di Norma ad avere la meglio.
Senza elencare le disavventure professionali a cui andò incontro l'attrice (si dice addirittura che per un periodo dovette prostituirsi sulla Sunset Boulevard), l'incontro che avviò Marilyn sulla strada del successo cinematrografico avvenne il capodanno del 1948: il talent scout Johnny Hyde, già scopritore di Rita Hayworth, notò la bionda attrice e convinto che sarebbe diventata una diva del grande schermo, convinse la Metro Goldwyn Mayer ad inserirla nel cast di "Giungla d'asfalto"  e "Eva contro Eva" accanto a Bette Davis.
Senza soffermarci sui successi o meno dell'attrice, che comunque si lamentò sempre dei ruoli da dumb blonde che le venivano continuamente proposti, a distanza di 50 anni dalla sua morte, quello che rimane impresso oltre alla sua bellezza ed avvenenza, è l'alone di infinita tristezza e solitudine che aleggiava intorno alla diva dai capelli di platino. Oltre alla già citata e triste infanzia, l'attrice collezionò una serie di amori sbagliati e deleteri, a cominciare dal celebre matrimonio con il giocatore di baseball Joe Di Maggio culminato in un divorzio nove mesi dopo e, secondo le indiscrezioni dopo alcuni episodi di violenza subiti dall'attrice. E poi quello con Arthur Miller, un'unione definita inconciliabile quanto quella di un gatto con un gufo: l'attrice si accollò, è il caso di dirlo, il mantenimento del marito e perfino quello della sua ex moglie. In quel periodo Marilyn aveva già iniziato a fare grande uso di droghe ed antidepressivi a causa anche di numerosi aborti, con cambiamenti di umore che andavano dall'euforia più sfrenata alla depressione più nera: il comportamento instabile di Marilyn e la differenza caratteriale inconciliabile portarono al secondo divorzio.
La fine del matrimonio con Miller la condusse ad uno stato depressivo tale che divenne dipendente dai farmaci fino a dover essere ricoverata in ospedale per dieci giorni, facendo parlare i giornali dell'epoca di essere ad un passo dalla morte. La salute dell'attrice e le sue condizioni psicologiche subirono un duro colpo quando Frank Sinatra, con il quale aveva iniziato una relazione poco dopo il divorzio da Miller, annunciò il suo matrimonio con Juliet Prowse e Arthur Miller il suo secondo matrimonio con Inge Morath:
Ma l'incontro fatale per Marilyn fu quello con i Kennedy: amante prima di John, quando lui si stancò, lei divenne l'amante del fratello Bob. Lo stato di Marilyn in questo periodo subì una ripresa, dovuta anche alla sua convinzione che da li a poco si sarebbe sposata con "un uomo molto potente ed importante" come lei stessa diceva spesso ai suoi amici. Ma l'epilogo di questo ennesimo turbolento e distruttivo rapporto, è ben diverso da come lei l'aveva immaginato: secondo alcune indiscrezioni Bob Kennedy si recò a casa dell'attrice il 4 agosto del 1962, il giorno prima che l'attrice venisse trovata morta dal suo psichiatra personale. Secondo alcune tesi complottistiche la presenza di Kennedy nell'appartamento dell'attrice il giorno prima della morte non fu casuale; il fratello del presidente voleva infatti lasciare Marilyn che era intenzionata a dichiarare pubblicamente la loro relazione, e questo avrebbe potuto inficiare la carriera politica dei Kennedy.
Ufficialmente fu dichiarata suicida, ma l'ipotesi dell'omicidio negli ultimi anni prende sempre più piede.

Persona triste e sola Marilyn. Come attrice ammetto di non averla mai considerata granchè, ma mi ha colpito l'infinita tristezza che aleggiava intorno a lei, quell'aurea di malinconia e solitudine che si portava dietro. Lontana anni luce da quello che il suo personaggio rappresentava: la sensualità e solarità (e anche un pò stupidità) dei personaggi da lei interpretati nei suoi film erano ben distanti dall'insicurezza e dal marcato bisogno di affetto che ha caratterizzato la diva. La mancanza di una famiglia alle spalle e di quell'affetto che naturalmente tutti hanno e che contribuisce alla formazione del carattere e della sicurezza di ognuno, hanno sempre segnato la vita affettiva dell'attrice, che si trovava sempre in una ricerca continua e disperata di amore. Un urlo disperato che veniva sentito dalle persone più sbagliate, sciacalli pronti a sfruttarla per la sua bellezza e la sua immensa fragilità, per poi abbandonarla nuovamente, di nuovo preda di paure e bisogni affettivi. Una spirale continua di distruzione ed autodistruzione, come divenne dopo che iniziò, probabilmente per il troppo stress emotivo, a far uso di droghe e psicofarmaci cercando in loro quell'aiuto che le persone non erano in grado di darle. O forse non volevano visto che una diva fragile e sotto stress è più facilmente manipolabile. Si dice che negli ultimi anni della sua vita divenne schizofrenica: forse il suo bisogno di essere amata era semplicemente arrivato al culmine, la sua disperazione e la sua solitudine erano arrivati ad un punto tale che indietro non si poteva tornare; e infondo fu proprio quell'amore che lei tanto cercava a condurla nelle braccia della morte. E anche dopo la sua morte, gli sciacalli pronti ad accanirsi su di lei non mancano: pochi giorni fa, un museo americano di arte moderna ha aperto una mostra sull'attrice e in bella mostra sul cartellone campeggiava la scritta "Entra a vedere tutte le boccette di pillole vuote di Marilyn!".
L'america, il paese che crea i sogni e distrugge i sognatori.